“Confesso che ho lanciato”. Riflessioni sanremesi…

Serata finale del 60° Festival della Canzone Italiana di Sanremo 2010. L’Italia osserva attonita l’orchestra lanciare gli spartiti per protestare contro l’eliminazione di Malika Ayane e Noemi a favore di Pupo, Emanuele Filiberto e il tenore Luca Canonici. E’ certamente uno dei momenti che verranno ricordati maggiormente nella storia della kermesse canora, probabilmente più del vincitore del medesimo anno (Valerio Scanu con Per tutte le volte che).

Non entrerò nel merito del Festival appena concluso, perché non l’ho seguito. Voglio proporre tuttavia una riflessione su come le modalità di reclutamento dei concorrenti e di votazione abbiano condizionato in modo determinante i festival degli ultimi vent’anni…

Dagli anni Ottanta ad oggi innumerevoli sono stati i casi in cui i trionfatori sanremesi si sono scontrati con il parere del pubblico, ma possiamo dire che negli ultimi dieci anni in particolare abbiamo assistito ad una pluralità di generi (e di pubblici) capaci di soppiantare, almeno sulla carta, i tipici stereotipi sanremesi così in voga negli anni Ottanta.

Per analizzare l’evoluzione sanremese dagli anni Ottanta ad oggi occorre considerare i tre elementi centrali della manifestazione: i concorrenti (e quindi i generi di musica), il pubblico e le modalità di voto.

Se scorriamo i nomi che hanno fatto la storia del Festival ci accorgiamo che, fino agli anni Novanta, sono stati davvero pochi gli artisti arrivati sul podio pressoché sconosciuti al grande pubblico (Toto Cutugno, Albano e Romina, Gianni Morandi, Pooh, Anna Oxa, Massimo Ranieri), con canzoni sentimentali o socialmente impegnate (Si può dare di più) che si piazzano sul filone di “canzone sanremese” nato fin dagli albori della manifestazione. Il target è decisamente “adulto”, fatta eccezione per il giovane Eros Ramazzotti, vincitore nel 1985 con Adesso tu, diventato subito idolo delle ragazzine.

Ancora nel 1992 si impone il modello “strappalacrime” con Portami a ballare, canzone di Luca Barbarossa dedicata alla mamma. Bisognerà aspettare il 1996 per avere la prima vera ventata di novità in fatto di “genere”. Elio e le Storie Tese si piazzano al secondo posto, vincendo anche il Premio della Critica (intitolato a Mia Martini) con La terra dei cachi, brano ironico, nonché profetico, sulla decadenza dell’ Italia, che li consacra come la vera rivelazione della musica italiana (sebbene fossero già in attività dal 1980 per un affezionato pubblico di nicchia, mentre il primo album risale al 1989). La ventata di freschezza portata dal gruppo sul palco dell’Ariston è paragonabile al successo di Rino Gaetano nel 1978 con Gianna e dimostra come l’ironia sia il modo migliore per contrastare il “perbenismo” ed il “politically correct” da sempre aleggianti sulla manifestazione.

Negli ultimi 15 anni sono aumentati i generi presenti al Festival, ma purtroppo questo non ha contribuito, o almeno in modo non sostanziale, ad un vero cambiamento.

Poca fortuna hanno avuto generi “alternativi” quali l’alternative rock, l’indie rock, il rap. In particolare quest’ultimo è stato più volte presente, ma gli unici artisti che ne sono usciti a testa alta sono stati Jovanotti e Caparezza, un rap quindi decisamente italianizzato. Meno fortunati invece gli ormai dimenticati Sottotono (nel 2001 con Mezze verità), al centro anche di una polemica legata ad un presunto plagio, arrivati soltanto 14esimi, così come Frankie Hi-NRG nel 2008 con Rivoluzione.

Occasioni decisamente mancate invece per il rock alternativo. Ricordiamo i Bluvertigo, apprezzati dalla critica nel 1994 con Iodio ma arrivati ultimi nel 2001 con L’assenzio, o gli Afterhours bocciati al primo turno dal pubblico nel 2009 con Il Paese è reale ma, paradossalmente, vincitori del Premio della Critica .

Maggior fortuna hanno avuto le poche, e di qualità,  incursioni d’influenza jazz, con Sergio Cammariere (terzo posto nel 2003 e premio della critica con Tutto quello che un uomo), Simona Molinari (quinta fra le nuove proposte nel 2009 con Egocentrica), Nicola Arigliano (premio della critica nel 2005 con Colpevole, nonché partecipante più anziano), Nicky Nicolai e Stefano di Battista (due volte sul palco dell’Ariston, nel 2005 vincitori nella categoria gruppi con Che mistero è l’amore e non ammessi alla finale nel 2009 con la bella Più sole) e Raphael Gualazzi che nel 2011 ha spopolato con Follia d’amore classificandosi al primo posto fra le nuove proposte.

 

Un radicale cambiamento è avvenuto invece per ciò che riguarda il pubblico. Se negli anni ’80-‘90 Sanremo era considerato come uno spettacolo per un target “over 50”, motivo per cui l’inserimento di artisti fuori dai soliti schemi non ha dato i frutti sperati, oggi assistiamo ad un ribaltamento, “grazie” alla stretta interazione con i talent show che ogni anno traghettano dall’anonimato alla città dei fiori almeno due o tre concorrenti. Dal 2009 al 2016 sono stati ben 15 gli artisti provenienti dai talent in gara nella categoria “Big” (alcuni anche più di una volta), dei quali  4 vincitori. Questi hanno diviso il palco con cantanti della “vecchia guardia” quali Toto Cutugno, Albano, Roberto Vecchioni, Patty Pravo ed altri nomi storici, a dimostrazione che, comunque, il Festival resta legato alle proprie tradizioni.

Restano invece tagliati fuori gli “alternativi”, ossia quelli che contestano il Festival per lo stampo troppo popolare, ma si tirano indietro quando avrebbero la possibilità di cambiare le cose grazie al televoto. I tempi, forse, non sono ancora maturi.

Una cosa è certa, il Festival di Sanremo, nonostante le innovazioni, è rimasta una manifestazione tesa a soddisfare il grande pubblico, con qualche guizzo di novità che non sempre ha dato i risultati sperati.

Dimostrazione che per soddisfare gli Italiani, in fondo, servono romanticismo, polemiche e un po’ di sano umorismo.

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